Quando il non voto diventa un voto.
di Diego Gavagnin
pubblicato su IndustriaEnergia
Rinunciare all’estrazione del gas è veramente incomprensibile, roba che nel mondo si mettono a ridere, ci prendono per scemi e col cavolo che verranno ad investire ancora in un Paese di matti.
Come sa chi ha letto alcuni miei recenti commenti, ritengo che l’era del petrolio sia ormai finita e che prima se ne esce e meglio è. Così la scienza e le forze imprenditoriali possono concentrarsi sul nuovo, anziché esasperare la “raffinazione” del vecchio. Dopodiché se si ha la possibilità di estrarre e vendere del petrolio, finché ci sarà qualcuno che lo vuole ancora usare e gli è permesso, è sciocco non farlo. Ovviamente facendo tutto a regola d’arte e disponendo di adeguati controlli.
Ma non si può rinunciare al recupero di un bene se non ci si fida dei controllori. Non si indicono referendum, si migliorano verifiche e accertamenti.
Ma tutti questi sono in realtà ragionamenti inutili, infatti il referendum sulla “trivelle” è in realtà un esercizio di populismo demagogico e un forte segnale che le Regioni, in procinto di essere espropriate della competenza “concorrente” in materia di energia, lanciano al governo centrale: “Guarda che anche se la politica energetica torna al centro - con la imminente riforma del titolo V della Costituzione - noi avremo mille modi per bloccare i tuoi piani”.
Poi questo referendum non distingue tra estrazione di petrolio ed estrazione di gas, nonostante il metano dell’Adriatico sia tra i più puri al mondo. Lo si potrebbe anche liquefare così senza doverlo purificare. Rinunciare all’estrazione del gas è veramente incomprensibile, roba che nel mondo si mettono a ridere, ci prendono per scemi e col cavolo che verranno ad investire ancora in un Paese di matti.
Tra l’altro va anche ricordato che il petrolio e il gas naturale da sempre risalgono dalle profondità della terra e arrivano in superficie, da cui escono e si mescolano e si sciolgono nell’acqua, nella terra e nell’aria.
Sono anch’essi elementi naturali, ed infatti se li si lascia dove sono poi con il tempo scompaiono e i batteri se li pappano, come fanno da milioni di anni. Ovviamente il problema è il rilascio improvviso di grandi quantità di petrolio che l’ambiente naturale non riesce a neutralizzare nei tempi che vorremmo noi e che stratificandosi impedisce al mare e alla terra di respirare per lungo tempo. Questo è un problema che va tenuto sotto controllo, ma non certo a colpi di referendum contro le trivelle, perché il rischio maggiore non sono le piattaforme di estrazione, ma sono le petroliere che vanno a sbattere e si rompono.
In realtà, ora che c’è un alternativa, rappresentata dal metano liquido o compresso, il problema del rischio di inquinamento da petrolio lo si risolve prescrivendo limiti alle emissioni, così come sta facendo l’International Maritime Organization, IMO. L’organismo dell’ONU sta imponendo percentuali sempre più basse di tenore di zolfo e azoto nei carburanti marittimi di derivazione petrolifera (con il loro corredo di polveri sottili). Il limite più basso dello zolfo è adesso 0,1% in vigore nei mari costieri dell’Europa del Nord e dell’America del Nord. Gli armatori possono usare dei sistemi di abbattimento dei fumi, che come le marmitte catalitiche delle auto non si sa bene per quanto tempo funzionano, o il gasolio 0,1, molto costoso. Alla fine l’unica alternativa resterà il metano (anche qui in attesa del tutto elettrico). Il limite di 01% di zolfo, che dovrebbe entrare in vigore in tutta Europa, e quindi anche nel Mediterraneo, ma non è certo, nel 2025, potrebbe entrare in vigore già nel 2020 nei mari italiani, come prevede la legge ma a condizione (emendamento governativo fuori sacco dell’ultimo momento) che lo facciano anche gli altri Paesi rivieraschi. Nessuno in Italia, né le Regioni né i Ministeri interessati si sono neanche premurati di chiedere agli altri Paesi se fossero d’accordo. E pensare che la stessa legge prevede questo limite per l’Adriatico e lo Ionio dal primo gennaio 2018, tra solo due anni.
Chi chiede il blocco delle trivelle e non fa niente per attuare la legge sullo zolfo nei carburanti marittimi è semplicemente in malafede e non sta perseguendo gli obiettivi dichiarati nel quesito referendario ma tutt’altro. Una battaglia di potere politico che nulla ha a che fare con lo spirito dello strumento referendario, e che rischia di distruggerlo.
Ecco, tutto questo sproloquio per dire che se andrò a votare voterò no e che se non andrò a votare è perché il non voto è ormai una scelta legittima esattamente come il voto.
Ed infatti è interessante notare come buona parte degli ambientalisti storici italiani, colti alla sprovvista da un referendum che non hanno voluto né promosso, lo ritengano inutile (ma ovviamente non possono non andare a votare) con le stesse motivazioni di quelli che voteranno no e buona parte di quelli che sceglieranno l’astensione. Curioso.